venerdì 10 febbraio 2012

I PONTI, I PETTIROSSI, LA CORSA E IL BLIZZARD CONTRO



Si, forse più tardi. O stanotte; e domani sarà un sabato bianco, uno di quei giorni in cui rimanere rintanati in casa, semplicemente. Ma per ora niente neve, solo Blizzard, vento dell'est, forte, ghiaccio e deciso, che entra prepotente in ogni spazio lasciato libero. Consapevole ero consapevole, del freddo certo, ma anche del fatto che erano veramente troppi giorni che non mi decidevo a correre un pò per cui, di buon mattino (meglio non mettersi a fare altro se no è finita!), approfittando del giorno di part-time, mi sono buttata fuori di casa e sono andata ad allenarmi un pò alle Cascine. Tenuta veramente raccattata: autoreggenti sotto i pantaloni da corsa più pesanti che possiedo (ma quelle per fortuna rimanevano nascoste), indumenti tecnici dell'Amore, che lui è più attento ed attrezzato di me: maglietta intima rosso fuoco sotto e, sopra, maglia termica nera e gialla (molto più giallo foscorescente che nera, taglia "s" ma da uomo, praticamente effetto "vestitino") cappello di pile in testa (io i cappelli non li sopporto proprio ma con queste temperature smettono di essere un optional) e gli amati scaldamuscoli - che in questo periodo uso in tutti i modi possibili- a proteggere le braccia. Così bizzaramente bardata (sperando di non incontrare visi conosciuti) sono scesa in strada e nonostante tutte le attenzioni al vestiario ho subito sentito che sarebbe stata dura. Ma una volta fatto il primo passo, gli altri vengono da sé per cui mi sono detta: l'importante è muoversi un pò; arrivo alla passerella dell'Isolotto e torno indietro...  Alla passerella il freddo brutto ormai era passato, e ho potuto rilanciare: arrivo almeno al ponte della tranvia, e da lì a quello della Vittoria, che arrivata lì ci vuole niente, giusto cinque minuti, anzi anche meno. Generalmente la mia soglia sono i trenta minuti. Se riesco a correre quelli, dopo, mi sembra di andare in discesa: i muscoli sono sciolti e morbidi, il respiro ha trovato il ritmo, la beatitudine della corsa ha preso  il posto dei capricci della mente che è sempre pronta a sentenziare: ma chi te lo fa fare? Certo, chi me lo fa fare? La gioia che sento nel poggiare i piedi e la spinta che tutto il corpo riceve, la percezione che ho del bacino, dove assorbo centratura e forza, il movimento delle braccia che dondolando intorno al corpo, lo proteggono e ne hanno cura. Lo sguardo che spazia libero e gode di quello che ha intorno (tanti pettirossi stamani mattina e anche un magnifico, grande, airone che volteggiava sull'Arno) e i pensieri che saltellano liberi da uno spazio all'altro, regalandomi intuizioni inattese e assolutamente originali. E la voglia di buttare le possibilità sempre un pò più là: questa mattina il "pò più in là" è stato il quarto ponte. Ormai, mentre correvo in direzione di casa, me lo vedevo venire incontro sempre più vicino, ben oltre l'allenamento programmato, ma comunque più che fattibile. E alla fine al ponte all'Indiano ci sono arrivata; il difficile, da lì, è stato coprire la strada per tornare a casa. Vento contro, glaciale, dritto nello stomaco, gambe che ormai stanche facevano fatica a reperire l'energia necessaria per andare avanti. Ad un certo punto ho pensato: ora mi vengono a raccattare qui, piegata in due e mezza congelata. Poi per fortuna ho letteralmente "svoltato" e tutto è diventato più semplice, fino alla porta di casa e alla doccia bollente: mai assaporata e goduta a fondo come oggi!

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