sabato 10 novembre 2012

FELDENKRAIS: DRITTO AL CUORE

Il Feldenkrais è per me soprattutto spazio. Spazio intimo.
Dove essere protetta, ma sentirmi anche larga: fare esperienza.
Dove poter dosare i sensi come voglio io, in quel momento preciso.
Respiro, odori, tatto, suoni, luci.
Divento regista, attore, autore, sceneggiatore.
Tecnico del suono e delle luci.
Regressione.
A recuperare sapere. Di specie: umana. Di famiglia: la mia storia.
Non c'è niente che devo conoscere, o dimostrare.
Niente da fare. Che non scelga. E non voglia.

L'ultima volta sono arrivata a lezione stanchissima. Il viso a straccio e il respiro cacciato in fondo.
Nella pancia la rivolta: no, non ce la faccio, è troppo!!!
Sono rimasta ferma. Braccia e gambe spalancate sul pavimento.
Permettere al corpo di abbandonarsi alla terra, già una vittoria.
Dani ripeteva le indicazioni dei movimenti dell'ultima lezione che era stata molto impegnativa, seppur così bella. Dentro il vomito. Anche immaginando solo il movimento. E il macigno del "non ce la faccio".
E quello che volevo fare era stare ferma. E basta.
Fino a quando è stato tempo.
Fino a quando il corpo ha sentito che poteva anche provare.
A girarsi sulla pancia. A girare il viso. Piegare il ginocchio. Lasciare che il piede andasse verso terra, avvertire il movimento del bacino, della colonna, della scapola. Sentire che il respiro scioglieva lacci e si faceva più leggero.
Movimento dopo movimento, sono entrata nello spazio.
Al di fuori del tempo.
Nel mio utero di donna grande, che vuole essere migliore di quello che è stata finora.
Che cerca la strada per arrivare il più possibile vicino al cuore di sè.
Che vuole recuperare la Sapienza che - sa - ha dentro, sepolta da un sacco di cose, di emozioni, certezze e convinzioni "altre" che non le permettono di venire fuori.
Come spesso accade ho finito con il viso bagnato di lacrime e un emozione fortissima che non può rimanere dentro.

Essere autentica. Imparare.

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